False Kiva, Canyonlands National Park, 7 Febbraio 2011
Nel meraviglioso Canyonlands National Park (nei pressi di Moab, Utah) si trova un sito chiamato “False Kiva”. Questo circolo cerimoniale di pietre posto all’interno di una caverna naturale aperta sul fianco di un canyon è di dubbia datazione e origine, da qui il "false” (falso) nel nome.
Per gli amanti della fotografia il “False Kiva” è oggetto di grande interesse per la particolarità del panorama e per la naturale inaccessibilità del sito e difficoltà del sentiero. La componente di mistero è fortemente presente ed ha catturato il mio interesse fin dalla prima fotografia che ho visto.
Quando lo scorso febbraio ho avuto la possibilità di prolungare di alcuni giorni un viaggio negli USA ho deciso di visitare Canyonlands NP e tornare ad Arches NP ma il mio obiettivo principale era questo sito.
Nonostante l’origine sia dubbia è classificato come sito archeologico protetto e per questo NON vengono date informazioni per raggiungerlo e non viene mantenuto un sentiero segnalato. La comunità fotografica tende a seguire questa linea di pensiero (anche io) e vige la regola non scritta di non condividere il tracciato GPS che porta a raggiungere il sito.
Tutte le foto al giorno d’oggi sono geotaggate, comprese quelle che ritraggono False Kiva. Ma questo non toglie il mistero perché la posizione GPS, se seguita, porta sul bordo del canyon mentre il sito si trova 350 metri più sotto e si è molto lontani dal sentiero di discesa.
Anche fotografi esperti indicano il sentiero inadatto ai timorosi e quindi con grande eccitazione, appena arrivato a Moab (Utah), mi sono recato alla stazione dei Ranger di Canyonlands NP.
Il ranger mi ha squadrato da testa a piedi e temo abbia valutato se avrei potuto alterare il ciclo alimentare di avvoltoi e coyote con la mia dipartita.
Molto gentilmente mi ha fatto vedere 3 piccole foto (inutili), mi ha dato indicazioni per trovare l’inizio del sentiero (molto utile) e mi ha chiarito che camminando fuori dai sentieri segnalati (necessario per raggiungere False Kiva) è difficile e pericoloso, è facile perdersi e poche persone alla settimana passano da quelle parti. Quest’ultimo avvertimento suona un po’ diverso essendo in un parco enorme (1366 kmq), gli unici rumori che senti sono quelli dei rapaci, delle tue scarpe ed il tuo respiro.
Dopo questo colloquio ero ancora più attirato da “False Kiva” ed allo stesso tempo mi appariva più irraggiungibile.
Questo misto di paura e fascinazione mi ha portato a posticipare l’obiettivo fino all’ultimo giorno disponibile. Con la scusa che avrei dovuto identificare il momento di non ritorno e seguire i miei passi a ritroso, per lasciare il parco e raggiungere Salt Lake City, mi sono imposto un limite di difficoltà, per non spingermi troppo oltre e gestire la preoccupazione.
A posteriori mi rendo conto che avere affrontato anche con timore reverenziale la natura non era comunque una garanzia di successo. La neve e ghiaccio sull’altipiano rendevano difficile seguire il sentiero, coprendo tracce e nascondendo i cumuli di pietre con cui i viaggiatori segnano il cammino. Inoltre la discesa lungo il fianco del canyon può portarti facilmente fuori strada, come è capitato a me.
Parcheggiata la macchina ho seguito la strada alla ricerca di un varco nella bassa vegetazione dell’altopiano e una concentrazione di impronte, segno dell’inizio del sentiero. In questa parte non si ha nemmeno la sensazione che per i primi chilometri si cammina verso il bordo del canyon, tanto l’altipiano è piatto.
Quando si giunge al bordo e si vede il canyon che qui si apre nella sua interezza, la sorpresa è grande. La discesa è possibile perché gli strati geologici della roccia dei canyon sono esposti all’erosione e sono inclinati di 30°/45° (mi sembra) costituendo una serie di scalini per giganti. La discesa consiste nel passare tra un gradone ed il successivo grazie a massi che si sono staccati dagli strati e creano degli scalini ad una scala da umani.
Inizio a scendere con l’idea, completamente errata, che la grotta si trovasse sul fianco sinistro del canyon e che fosse necessario seguire un sentiero a spirale discendente. Idea confermata dalle impronte che trovavo. Il canyon, esposto al sole, non aveva neve o ghiaccio sul terreno.
Arrivato al centro della gola i gradoni iniziano ad essere più difficili da scendere e le impronte umane sono presenti anche se meno frequenti. In compenso ci sono più impronte di animali.
Arrivo fino ad un punto che mi fa riflettere sulle mie priorità. Credo che la foto dia l’idea.
Se fossi sceso, credendo la via fosse giusta (non lo era) ero consapevole che forse non sarei riuscito a risalire e avrei dovuto scendere fino in fondo al canyon, e camminare a lungo per risalire da un sentiero segnato e tornare al punto di partenza.
In quel momento “False Kiva” aveva assunto la rilevanza dell’Eldorado. Il desiderio di trovarlo, la consapevolezza di esserci vicino, si scontrava con il timore di trovarsi bloccato. Alla fine, il pensiero di tornare a casa da Silvia e Abramo ha avuto la meglio e ho iniziato a risalire, a parte qualche tentativo di seguire qualche via alternativa.
A metà della risalita mi siedo un attimo per riprendere fiato e godere del panorama. Il luogo mi aveva rifiutato, “False Kiva” non si era rivelata (avevo solo sbagliato strada ma aggiungiamo gli elementi luogo segreto di origine indiana ed è un pensiero legittimo …). Pensavo che ci sarei potuto tornare con Abramo per completare la ricerca, un modo positivo di vedere la situazione. Ma ero certamente deluso dell’avere mancato l’obiettivo.
Mentre ammiro la vastità del canyon con la testa invasa dai pensieri positivi e negativi noto un particolare su una parte del terreno accumulato al centro del fianco del canyon, un luogo diverso da dove pensavo si trovasse “False Kiva”. C’era una traccia bianca che poteva essere un accumulo di qualche sedimento, forse minerali dalle rocce portati dall’acqua ed evaporati. Ma gli animali camminando anche su piani inclinati non tendono ad appiattire il terreno abbastanza da permettere l’accumulo di acqua, più probabilmente sono state delle scarpe a calpestare il terreno.
Scatto delle foto e le guardo nel display allo zoom massimo e si, quello è un sentiero e un po’ più in alto si notano due rocce piatte, impilate una sopra l’altra. Certo il caso esiste ma quello poteva essere il muretto! Scendo solo un po’ e poi cammino allo stesso livello fino al sentiero dove dell’acqua veramente si accumulava filtrando dal fianco roccioso e poi risalgo la massa di detriti che nasconde “False Kiva” alla vista.
Ci sono arrivato! L’ho trovata. Sono soddisfatto, specialmente perché la mia ricerca è stata così intensa.
Anche se il cerchio cerimoniale non fosse stato realizzato dagli antichi indiani Pueblo o dagli Hopi, ben prima della “scoperta” del continente americano, rimane un luogo magico.
Se invece questo luogo risalisse veramente al XIV secolo, mi emoziona il pensiero di essere nello stesso luogo in cui i nativi americani celebravano il rito di contatto con il non tangibile, in un mondo in cui ancora non era avvenuto il contatto con l’uomo bianco. Soprattutto perché il paesaggio vedo da “False Kiva” è esattamente lo stesso, nulla è cambiato.
Scatto diverse foto ma non ho molto tempo, consapevole di non avere ottenuto scatti che rendano la magnificenza del luogo.
C’è una cassetta che contiene un libro per i visitatori e lascio un mio messaggio. Nessun ha lasciato altri messaggi negli ultimi giorni.
Sono sicuro che ci tornerò. Oggi i viaggiatori sono quasi un miliardo ogni anno (Wikipedia) ma solo alcune migliaia hanno deciso di cercare questo sito, ora sono uno tra loro e conosco la strada. Ci porterò Abramo, Elia e Silvia.
In un certo senso se il luogo ti accetta, troverai il sentiero. Altrimenti spera che il dubbio ti assalga prima di procedere oltre.